Provenzale ORMA 2Dopo la rubrica “Conosci la mia ORMA” dedicata alle interviste alle borsiste del progetto ORMA, ecco il primo articolo della rubrica “Segui l’ORMA”, dedicata a brevi interviste ai protagonisti dell’Area che hanno partecipato in prima persona alle attività di progetto.

Per inaugurare questa nuova sezione, che va a inserirsi nel piano di Comunicazione di progetto dell'Area, le borsiste ORMA hanno avuto il piacere di intervistare il Presidente dell'Area della Ricerca del CNR di Pisa, Antonello Provenzale.

Il progetto ORMA - Alta fORMAzione e ricerca–azione presso enti di ricerca toscani - (CUP B54I19006860002) è finanziato con le risorse del POR FSE TOSCANA 2014-2020 nell'ambito di Giovanisì (www.giovanisi.it), il progetto della Regione Toscana per l'autonomia dei giovani.

 

Abbiamo chiesto ad Antonello Provenzale, Presidente dell’Area della Ricerca del CNR di Pisa e Direttore dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse (IGG), che importanza hanno iniziative come il progetto ORMA, che promuovono tematiche come il trasferimento tecnologico, la comunicazione e la progettazione europea, all'interno dell'Area della Ricerca di Pisa.

Da sempre, ricerca, tecnologia e applicazione concreta sono legate. Fin dagli albori della scienza. La ricerca nella “torre di avorio” ha vita breve, e rilevanza assai modesta. Il grande Alexander von Humboldt, uno dei padri fondatori delle scienze del Sistema Terra, si occupava sia di questioni fondamentali sia dell’effetto delle piantagioni coloniali sullo stato dell’ambiente. Quindi, ORMA si inserisce in un quadro direi tradizionale della ricerca scientifica di valore e dell’esplorazione del mondo intorno a noi.

Che cosa rappresenta il progetto ORMA dal suo punto di vista?

A livello individuale, la ricerca è spesso, e giustamente, guidata dalla curiosità, dal desiderio di conoscere e di capire il mondo. Ma a livello della società, lo sforzo dei singoli ricercatori deve potersi comporre nello sviluppo di nuove idee, di nuovi strumenti concreti che ci permettano di affrontare le molte sfide che abbiamo di fronte: cambiamenti climatici, inquinamento, perdita di suolo e di biodiversità, crisi economica e sociale, povertà (nel nostro paese e nel mondo), competizione con realtà aggressive e meno attente alla giustizia sociale.

Viene quindi chiesto ai singoli ricercatori di dedicare un poco del loro tempo e della loro energia a considerare anche almeno alcuni di questi aspetti, a inserire il loro particulare in un quadro più generale. Non si tratta tanto di cambiare cosa si fa, ma di saperlo e volerlo inserire in un contesto più ampio. Il progetto ORMA è un contributo in questo senso, per passare da una visione personalistica a un approccio comunitario.

Qual è stata secondo lei la motivazione più forte che ha spinto tanti istituti a partecipare, compreso il suo?

Non ci sono una ricerca “fondamentale” e una ricerca “applicata”. Ci sono invece una buona ricerca e una ricerca scadente. Né ci sono ricercatori che si dilettano solo di “cose alte” e altri che – “vili meccanici” – si occupano solo di applicazione. Ciascun ricercatore deve trovare il suo ruolo in uno spettro di competenze, passioni, interessi, ma sempre stando attenti sia agli aspetti più concettuali (guai dimenticarli) sia alle ricadute concrete di quello che facciamo, sulla società e sulla vita degli altri. Non dobbiamo dimenticare che i nostri stipendi sono pagati in buona parte dalle tasse dei cittadini.

Spesso noi ricercatori ci lamentiamo del sistema, della mancanza di fondi, delle difficoltà, ma siamo dei privilegiati. Siamo dei privilegiati che hanno la fortuna di seguire la propria passione, di trasformare la passione in lavoro. E dobbiamo restituire un po’ di questa passione, di questi privilegi, restituirli a quella società che ci permette di fare questo mestiere. Ecco perché ci è piaciuta l’idea del progetto ORMA.

Oltre a ORMA, quali altre attività secondo Lei sono utili in questo senso?

Stiamo dialogando, per esempio, con l’Unione Industriale Pisana e con altre realtà produttive. Molti di noi intervengono in dibattiti pubblici, scrivono articoli sui giornali e libri, discutono di scienza e società. Personalmente sono appassionato di divulgazione della scienza, ho partecipato a diversi incontri con gruppi diversi di cittadini, per esempio con i Fridays for Future, che cercano di capire, di intervenire, di far cambiare rotta a una società che sta correndo lungo binari sbagliati.

Non è semplice naturalmente, ma occorre continuare a dialogare, a verificare come possiamo interagire con chi sta “fuori dall’Area”, con il mondo che abbiamo intorno. Nessuno, a mio parere, ha il diritto di sottrarsi a questo confronto, anche sulla rilevanza di ciò che fa, perché pensa di essere un “ricercatore puro”.

A proposito di ambiente, Lei ha contribuito alla formazione dei borsisti con un seminario sul clima, la sua principale tematica di ricerca. In che modo secondo Lei la conoscenza di ciò che sta avvenendo al clima potrebbe interessare o influenzare figure che aspirano a occuparsi di trasferimento tecnologico, comunicazione e progettazione europea?

I cambiamenti climatici e ambientali sono un problema enorme, che abbiamo trascurato per troppo tempo e ora stanno emergendo con violenza estrema. Più velocemente di quanto sperassimo. Il pianeta non è in pericolo, siamo in pericolo noi – o quanto meno la possibilità di una vita dignitosa per una grande porzione di umanità. C’è molto da fare.

Le Nature Based Solutions (le soluzioni basate sulla natura, N.d.R.), ad esempio, sono cruciali per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e invertire il degrado ambientale; sono basate su alta tecnologia e richiedono intelligenza, innovazione, coraggio imprenditoriale. Valutare in modo quantitativo gli effetti delle strategie di adattamento e mitigazione del rischio, costruire la capacità previsionale dello stato delle risorse idriche, degli effetti di diverse tipologie di interventi gestionali. E comunicare correttamente cosa vuol dire cambiamento climatico, che non è una faccenda che riguarda solo gli orsi polari, e che – se ci diamo da fare rapidamente – possiamo affrontare il problema e uscirne bene.

Niente catastrofismo, per carità. Ma ci vuole il coraggio di cambiare, di innovare, di cercare soluzioni che sembrano visionarie ma che alla fine si riveleranno vincenti. C’è molto da fare, insomma, anche per correggere la rotta. Siamo ancora in tempo, ma va fatto presto.

In un'intervista ha dichiarato di sentirsi arrabbiato per come stiamo rovinando l'ambiente intorno a noi. Se potesse avere una bacchetta magica, che cosa cambierebbe per migliorare da subito le cose?

Sono anni che i ricercatori cercano di informare la politica, i decisori, il pubblico. A volte si riesce, a volte no. A volte le rivalità fra ricercatori e l’ego individuale rendono più difficile un’azione coerente e concordata. L’importante è informarsi e informare, dialogare, confrontarsi. Non aver paura di ripetere le cose, raccontarle a chi vuole sentire e anche a chi non dimostra interesse. Far capire che l’informazione di internet e dei social media non è sempre corretta. E iniziare a capire che, forse, la strada economica che abbiamo intrapreso qualche decennio fa, il consumo sfrenato di risorse e di energia, l’accelerazione senza sosta, il turbinio di bisogni indotti e artificiali non ci rendono felici. Sarà perché sto invecchiando, ma credo proprio che sia necessario che ci fermiamo a pensare, qualche volta, magari passeggiando in un bosco non troppo lontano da casa, e provare a capire come agire per migliorare le cose.